lunedì 12 luglio 2010

The Reader - parte 2 (un mio commento)

Questo post fa seguito a quello precedente che contiene un sunto del film The Reader e contiene un po' di considerazioni personali.

Le riflessioni che voglio scrivere in questo spazio sono suggeriti dai contrappunti che mi pare di aver letto nel film: giustizia-legge, individuo-nazione, sentire-fare, vita-letteratura, e passato-presente.

Innanzitutto quel processo, come ogni processo, non ha a che fare con la giustizia, ma con la legge, e la legge è cavillosa.

Hanna è senza dubbio colpevole agli occhi della giustizia perché era lì, era una sorvegliante. Ma sono moralmente colpevoli anche coloro che sapevano e avevano accettato, è colpevole una nazione intera, l'Europa, tutta una generazione. I giudici stessi, in verità, sono moralmente colpevoli.

"Come avete fatto a non spararvi tutti?" è la domanda urlata di uno studente in legge durante il seminario: tale doveva essere l'orrore per la presa di coscienza dell'accaduto. I campi erano lì, lì vicino e tutti sapevano.

Ma la legge, dicevo, è cavillosa, fa dei distinguo. Le altre sorveglianti erano lì con Hanna, ma unite non parlano. Hanna parla e alla fine gliela fanno pagare, diventa il "capro espiatorio". Tutte le addossano la colpa di aver redatto un falso rapporto.

Non sa leggere, è analfabeta, e se ne vergogna. Alla prova calligrafica crolla e prende su di sé la colpa per qualcosa che non ha - giuridicamente - commesso. Non lo fa per espiazione, ma per vergogna, per la vergogna di essere analfabeta, non di essere una assassina.

Agghiacciante il momento in cui Hanna, incalzata dal giudice, afferma che non c'era altro modo, dovevano arrivare le nuove e non c'era spazio per tutte. La camera a gas veniva vista come l'unica soluzione possibile, veniva accettata.

Agghiacciante, mi pare, per la mancanza di consapevolezza, di presa di coscienza del proprio operato. E questa sensazione è acuita dal fatto che si dimostra sensibile alle storie, alle rappresentazioni della letteratura che brama di continuo.

Hanna, piange e ride per le storie che ascolta, si commuove alla musica sacra, è toccata nel profondo. Eppure sembra incapace di comprendere il peso del suo gesto. Qui vedo che il film evidenzi a una frattura importante che merita di essere letta, un fendente doloroso.

Sono sempre stato abituato a pensare che certi atteggiamenti o comportamenti, privi di empatia o compassione, fossero figli dell'ignoranza più bruta, che la letteratura, la cultura in generale, avesse influenza sullo spirito (penso ai concetti di humanitas e di pietas) ma questa storia ci mostra un personaggio che fa vacillare questa convinzione. A pensarci è la Storia a mostrarlo: si pensi alla classe dirigente tedesca, ai crimini efferati di cui si è resa protagonista. E magari poi la si immagini al teatro dell'opera, magari con gli occhi lucidi; pensateli a quando hanno accarezzato i loro figli, le loro amanti.

Senza nessuna logica revisionista, questa storia evidenzia che coloro che hanno preso parte o sono stati testimoni inerti di crimini così disumani e atroci in verità erano persone, con tutte le sfaccettature e le complessità che questo comporta, e non il male assoluto. Questo non significa assolverle, giustificarle o mitigare le loro colpe, ma aggiungere un grado di complessità necessario per comprendere l'Uomo.

Ricordando qualche lettura di Heinrich Boll, mi pare di vedere in Hanna il simbolo della Germania intera che non ha scavato a fondo nelle proprie colpe, è andata avanti, ha ricostruito senza soffermarsi sul passato, se non brevemente, come un inciso. Forse il processo stesso - nel suo cavilloso esser legge e non giustizia - è simbolo e sintomo di questo.

Hanna ammette che prima del processo non aveva mai pensato al passato. Ma alla fine "Che importa cosa provo? I morti sono morti. Cosa ho imparato, ragazzo? Ho imparato a leggere".
D'altra parte anche chi ha subito, chi ha perso la propria condizione umana, sottolinea la sterilità di quella condizione di quella esperienza: "Cosa ho imparato nei campi? Nulla, non erano un università, un luogo dove si impara. nei campi non c'era niente. La catarsi vada a cercarla nella letteratura, non nei campi".

Molti anni dopo, in un luogo molto distante, in un ambiente ricco, l'inquadratura è fissa sull'espressione dura, i lineamenti amari. Cambia qualcosa che Hanna fosse ignorante o colta? Questo la renderebbe meno colpevole?
No , ovviamente, l'ignoranza o la cultura non cambiano il peso delle nostra azioni, non moralmente, non per la giustizia. Al massimo ci riesce più difficile conciliare aspetti tanto contrastanti nell'animo del singolo individuo. Il confronto fra i quattro anni inflitti alle guardie e l'ergastolo di Hanna sono solo il cavillo della legge. E lo sono pure il confronto fra tutte queste donne e tutta quella parte di umanità che ha reso possibile i crimini disumani dei campi di concentramento, di tutti coloro che sapevano e non hanno fatto nulla.

E così alla fine del film i pensieri spaziano tra il senso della giustizia e quello della legge, tra responsabilità individuale e collettiva, tra ignoranza e cultura, tra rappresentazione letteraria e realtà, tra la capacità di compiere il male e di compiere il giusto e di prenderne coscienza.
L'ultimo pensiero, credo il più importante, è quello che compara la storia del nazismo a quella di oggi. Oggi valutiamo quel periodo storico e urliamo con quello studente, erano tutti colpevoli. E penso che sia così.

Ma cosa urlerà mia figlia contro di me? Da quale schifo sarà colta mia nipote? Io vivo questi giorni, io so. Io lo vedo lo schifo e lo sento cadere su di me, sento sulla mia generazione la colpa di tutto questo.
Vediamo i bombardamenti e l'assedio di Gaza, l'assalto alla Freedom Flotilla, assistiamo inerti mentre i diritti umani vengono infranti ogni sacrosanto giorno, anche nel nostro paese, e ci affranchiamo alle logiche leghiste.

Siamo così sicuri che lo schema che ci fa restare immobili sia tanto dissimile da quello di Hanna? Noi che siamo così capaci di piangere sul finale di un film o di un libro, che reazione abbiamo di fronte ai telegiornali, o peggio, a quello che accade in strada a due passi da noi?

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