martedì 27 luglio 2010

Ogni sogno…




Ogni sogno è un sole.

I sogni sorgono dalla terra dei desideri

E si innalzano nei cieli dell'immaginazione

Illuminano i paesaggi del futuro, mostrano la strada

Percorrerla è appello di volontà.



Ogni sogno è un dio

Per divenire reale

Pretende tutta la fede,

Esige la consacrazione della vita

Reclama gratitudine ad ogni passo.

È ovunque e dimora dentro il petto

Si scorge nelle tracce di ogni opportunità

Nel suo nome tutto diventa possibile.



Ogni sogno è un io.

sabato 24 luglio 2010

Stelle Cadenti

Oggi rievoco le Fiera delle piccola editoria e delle autoproduzioni organizzata dall'Associazione Stelle Cadenti tenuta in occasione della festa tenuta nel borgo antico di Bassano in Teverina.

Sul sito dell'associazione è stato di poco pubblicato il catalogo della fiera che riepiloga il vissuto di quei giorni, le partecipazioni e gli eventi che hanno avuto luogo.

Vi invito a leggere il catalogo.

In questo post mi limito a riportare poche cose che mi hanno coinvolto direttamente o che ho sentito particolarmente.

La fiera è stata innanzitutto un incontrarsi di esperienze e personalità diverse. Molto interessanti sono stati gli scambi con Marco Sbandi delle Edizioni dei 7 mari, e con la poetessa Lidia Quercia (il suo libro Pietre e dimore ha forti rimandi alla relazione tra pietra e parola che avevo già avuto modo di considerare quando ho raccontato quella piccola storia di vita sospesa).

L'incontro con Giuseppe Spinillo che ha presentato il suo libro "La natura organica del dissenso" ha dato luogo ad un momento interessante. Entrambi abbiamo scoperto di aver scritto una poesia sulla vicenda di Eluana Englaro e mi ha coinvolto nella presentazione facendomi leggere il mio testo.


L'ultimo giorno abbiamo giocato con le parole componendo un mosaico semantico, un cammino di parole, una mappa del presente.

Giocate anche voi e trovate voi la vostra strada di parole.

Infine anche qui l'ultimo saluto ad Alfio Pannega, poeta viterbese morto poco tempo prima della fiera e che ho avuto modo di conoscere un poco l'anno scorso durante la manifestazione Stelle Cadenti. La Banda del racconto ha recitato le sue poesie con una performance poetico-teatrale molto sentita.

Non ho citato Nicoletta Crocella e Mario Palmieri ma la loro presenza e la loro capacità di dare semplicemente costituisce tutto ciò che rende possibile occasioni ed eventi come questo.

La cosa che si può dire di loro è: ci sono, con tutte le difficoltà che comporta veicolare cultura, con tutte le difficoltà fisiche o logistiche, ci sono sempre, sanno tener duro e sanno sottolineare che il risontro non è da cercarsi nei numeri ma nella preziosità di ogni singolo scambio, reazione, relazione.

Concludo con la segnalazione della presentazione tenuta da Nicoletta del libro di Maria G. Di Rienzo edito da Stelle Cadenti: Nostra Signora della Luce. Vi rimando a questo post.

martedì 20 luglio 2010

Una sera d'estate

Succede che la canicola del giorno riscalda le pietre delle case, le imbeve di fuoco.

Così alla sera, quando nel paese comincia a levarsi un po' di frescura, le pietre espellono dentro il calore assorbito e fuori gli ospiti esausti.

In queste sere, i bambini sguazzano tra le due particolari semilibertà: quella della piazzetta, dello slargo, del vicolo o del giardinetto e quella della casa deserta, completamente aperta alla sera, in cui recuperare giocattoli o oggetti di ogni tipo da portare fuori.

Queste esplorazioni, particolarmente fugaci quelle negli appartamenti, avvengono sotto gli occhi stanchi dei guardiani rilassati sulle panchine, scale o improbabili sedute.

Particolare davvero il ritrovamento di queste sere di mia figlia. Entrata in casa in cerca di fogli per colorare, è riuscita a prelevare i fogli di bozza di un libro di poesie.

Così per gioco mentre un foglio veniva tracciato a colore, il suo retro si prestava ad una lettura, un po' goliardica, un po' ironica. Così, prima da solo, poi con mia moglie, sotto gli occhi di qualche vicino di casa e di pochi sporadici passanti, ci siamo divertiti a proclamare ad alta voce questi versi.

Pooca cosa davvero, ma non ho mai apprezzato tanto delle poesie, e quelle poesie in particolare.

Come a dire che i libri, talvolta, sono vestiti troppo pesanti per fogli che vogliono rimanere leggeri, che vogliono essere afferrati come gli istanti, un po' a volo, con l'intenzione dello spizzico e la massima serietà del gioco.

Le poesie sono quelle del poeta Giuseppe Spinillo e la bozza era quella del libro "La natura organica del dissenso" edito dalle Edizioni Stelle Cadenti. Amari, duri, seri se preferite, i temi trattati, ma con quale ironia, e quanti giochi di parole e di suoni! Si sono prestati benissimo all'improvvisata.

Sono sicuro che sia l'autore che l'editore siano contenti di queste letture tenute al volo nel salotto di una piccola viuzza di paese per l'elite di un vicinato e due passanti.

In fondo abbiamo fatto dissentire persino la poesia. Quella accademica, s'intende.

Così per gioco una sera d'estate abbiamo tracciato a colore.




Di seguito qualcuno di quei versi di Giuseppe Spinillo che hanno colorato la serata (tranquillamente riportati in copyleft).




Non mi dimetto

Non mi dimetto
Non mi arrendo
non mi arrendo
non scendo
non mi scado
non mi scordo non vendo
non le stacco
le ventose dal vetro
non mi volto
non ci torno più indietro
non mi arrendo
non mi arrendo
non le stendo
le mie braccia a quel cielo
non asciugo la vita
non la spendo
non mi arrendo
non mi arrendo […]
Giuseppe Spinillo


Razza e biscotti (14/08/2008 - ad Abdoul Salam Guiebre detto Abba)
Non li mangio i tuoi biscotti
Sono limiti di briciole sul petto
Sono lividi su questo inizio notte

Non li mangio i tuoi biscotti
La tua razza è fatta da chi se ne fotte
Sono rantoli di uova burro e bile
Mescolati con fango, asfalto e miele
Additivi, ogm e rimasugli
Di un amore andato a male
Sono tracce di sudore sangue e rabbia

Non li mangio i tuoi biscotti
Con granelli di una sabbia tra le unghie
Preso a calci pugni e sputi
Da una razza di animale che
Difende il suo potere da ogni vento
Che minaccia cambiamento

Non li mangio i tuoi biscotti

Giuseppe Spinillo

domenica 18 luglio 2010

Era solo una presenza silenziosa

In seguito al post Una piccola storia di vita sospesa, dagli stessi appunti, mi è risultato più che naturale condensare una poesia. Credo che il ritorno sull'argomento mi possa essere perdonato.

Era solo una presenza silenziosa.

Era solo una presenza silenziosa.
La sua storia
una costruzione incompiuta
il tempo sospeso
per il figlio morto innanzi.
Gli occhi dietro al vetro
dall'angolo sommesso
il tripudio dei fiori
- La bellezza oltre l'amaro.

Alla fine del tempo
il tempo scorre di nuovo.
Nell'ombra c'è ancora colore.
La pietra resta
e tutto cambia.

mercoledì 14 luglio 2010

Lunanuvola

Le recenti cronache che vedono il perpetuarsi di crimini efferati e inutili nei confronti delle donne non possono lasciare indifferenti.

Per ora mi limito a segnalare il blog di Maria G. Di Rienzo Lunanuvola.
Da seguire.

Una piccola storia di vita sospesa

Bisogna provare a raccontarla questa storia, di una vita sospesa. Bisogna farlo prima che vada perduta.

Questa storia la narra ora, fievole, l'assenza della persona che l'ha resa viva.

Me la ricordo, mi ricordo la sua presenza immobile, quando sono arrivato in paese, pochi anni fa, quando venivo a conoscere le sue strade e la casa che sarebbe stata mia. Era una anziana donna, di primo acchitto non quel che si dice una simpatica vecchietta, lo sguardo fisso ora attento ora vacuo, la sua smorfia amara, che però sapeva sciogliersi per la bimba piccola che avevo in braccio.

Più volte ho colto quel sorriso e quasi sempre rivolto ad un bambino o ad un altro, quasi mai per altri, neppure verso ragazzi appena più grandi.

Ebbi poi modo di comprendere il perché.

Il mio rapporto con lei si limitava ad uno sguardo e ad un saluto ad ogni mio transito mentre andavo o venivo da casa. La incontravo sempre nello stesso punto, nel suo angolo vicino all'uscio della sua casa, in secondo piano, appena nascosto alla piazzetta di passaggio.
Nelle giornate troppo fredde o troppo calde guardava fisso da dietro al vetro della porta di casa, mirando lo scorcio che le case e i muri prospicienti alla piazzetta consentivano.

Dunque, per me non era molto di più della sua presenza dimessa.

Era bellissimo il suo angolo, un tripudio di fiori che lei curava come se fosse un quadro e quell'attenzione solo un modo per dipingere, ma non ostentato per sua stessa natura.
Ancora ora, mentre scrivo, un passante che attraversi la piazzetta, potrebbe capire la bellezza di quell'angolo solo se, visto lo sprazzo di colore provenire dalla viuzza, si affacci oltre la soglia entrando in quel secondo piano.

Le voci del paese non tardarono a farmi arrivare la sua storia, anche senza una domanda specifica da parte mia. Aveva un figlio, un ragazzino, e per lui era già in costruzione un piccolo palazzetto in tufo, come si usa nella zona.
Il fabbricato cresceva piano, come le possibilità permettevano. Il figlio morì mentre giocava col pallone, schiacciato sotto un enorme masso di tufo che si staccò dalla roccia.

La costruzione del palazzetto si fermò in quell'istante e le fila dei mattoni non andarono oltre il garage. Quell'incompiuto divenne incedibile e ancora oggi è lì. Per la madre, insopportabile divenne il rimbalzo di ogni pallone e l'euforia di ogni ragazzo.

Il tempo fu sospeso nonostante i giorni, gli anni, il sole e la pioggia.

Restano quelle pietre, testimoni impassibili di un tempo trascorso inutilmente.

Ora il tempo ha ripreso a scorrere, accelerato, tutto a tratto, come a riprendere gli istanti perduti. Forse si udrà il suono del rimbalzo di qualche pallone. Qualcuno reclamerà quella terra, quelle pietre e completerà quello che non poteva essere portato a termine. Forse i fiori appassiranno o forse qualcuno li curerà come fossero la sua memoria.

A volte ci sono vite delicate, che nascondono un senso di poesia, tragica, ma pur sempre poesia.

Credo che valesse la pena parlare di come il tempo possa essere sospeso e di come possa riguadagnare tutto in una indifferente accelerazione.

E la pietra, la pietra che sa essere tutto: progetto, speranza, disperazione tragedia, testimonianza. E poi diventare di nuovo indifferente.

lunedì 12 luglio 2010

The Reader - parte 2 (un mio commento)

Questo post fa seguito a quello precedente che contiene un sunto del film The Reader e contiene un po' di considerazioni personali.

Le riflessioni che voglio scrivere in questo spazio sono suggeriti dai contrappunti che mi pare di aver letto nel film: giustizia-legge, individuo-nazione, sentire-fare, vita-letteratura, e passato-presente.

Innanzitutto quel processo, come ogni processo, non ha a che fare con la giustizia, ma con la legge, e la legge è cavillosa.

Hanna è senza dubbio colpevole agli occhi della giustizia perché era lì, era una sorvegliante. Ma sono moralmente colpevoli anche coloro che sapevano e avevano accettato, è colpevole una nazione intera, l'Europa, tutta una generazione. I giudici stessi, in verità, sono moralmente colpevoli.

"Come avete fatto a non spararvi tutti?" è la domanda urlata di uno studente in legge durante il seminario: tale doveva essere l'orrore per la presa di coscienza dell'accaduto. I campi erano lì, lì vicino e tutti sapevano.

Ma la legge, dicevo, è cavillosa, fa dei distinguo. Le altre sorveglianti erano lì con Hanna, ma unite non parlano. Hanna parla e alla fine gliela fanno pagare, diventa il "capro espiatorio". Tutte le addossano la colpa di aver redatto un falso rapporto.

Non sa leggere, è analfabeta, e se ne vergogna. Alla prova calligrafica crolla e prende su di sé la colpa per qualcosa che non ha - giuridicamente - commesso. Non lo fa per espiazione, ma per vergogna, per la vergogna di essere analfabeta, non di essere una assassina.

Agghiacciante il momento in cui Hanna, incalzata dal giudice, afferma che non c'era altro modo, dovevano arrivare le nuove e non c'era spazio per tutte. La camera a gas veniva vista come l'unica soluzione possibile, veniva accettata.

Agghiacciante, mi pare, per la mancanza di consapevolezza, di presa di coscienza del proprio operato. E questa sensazione è acuita dal fatto che si dimostra sensibile alle storie, alle rappresentazioni della letteratura che brama di continuo.

Hanna, piange e ride per le storie che ascolta, si commuove alla musica sacra, è toccata nel profondo. Eppure sembra incapace di comprendere il peso del suo gesto. Qui vedo che il film evidenzi a una frattura importante che merita di essere letta, un fendente doloroso.

Sono sempre stato abituato a pensare che certi atteggiamenti o comportamenti, privi di empatia o compassione, fossero figli dell'ignoranza più bruta, che la letteratura, la cultura in generale, avesse influenza sullo spirito (penso ai concetti di humanitas e di pietas) ma questa storia ci mostra un personaggio che fa vacillare questa convinzione. A pensarci è la Storia a mostrarlo: si pensi alla classe dirigente tedesca, ai crimini efferati di cui si è resa protagonista. E magari poi la si immagini al teatro dell'opera, magari con gli occhi lucidi; pensateli a quando hanno accarezzato i loro figli, le loro amanti.

Senza nessuna logica revisionista, questa storia evidenzia che coloro che hanno preso parte o sono stati testimoni inerti di crimini così disumani e atroci in verità erano persone, con tutte le sfaccettature e le complessità che questo comporta, e non il male assoluto. Questo non significa assolverle, giustificarle o mitigare le loro colpe, ma aggiungere un grado di complessità necessario per comprendere l'Uomo.

Ricordando qualche lettura di Heinrich Boll, mi pare di vedere in Hanna il simbolo della Germania intera che non ha scavato a fondo nelle proprie colpe, è andata avanti, ha ricostruito senza soffermarsi sul passato, se non brevemente, come un inciso. Forse il processo stesso - nel suo cavilloso esser legge e non giustizia - è simbolo e sintomo di questo.

Hanna ammette che prima del processo non aveva mai pensato al passato. Ma alla fine "Che importa cosa provo? I morti sono morti. Cosa ho imparato, ragazzo? Ho imparato a leggere".
D'altra parte anche chi ha subito, chi ha perso la propria condizione umana, sottolinea la sterilità di quella condizione di quella esperienza: "Cosa ho imparato nei campi? Nulla, non erano un università, un luogo dove si impara. nei campi non c'era niente. La catarsi vada a cercarla nella letteratura, non nei campi".

Molti anni dopo, in un luogo molto distante, in un ambiente ricco, l'inquadratura è fissa sull'espressione dura, i lineamenti amari. Cambia qualcosa che Hanna fosse ignorante o colta? Questo la renderebbe meno colpevole?
No , ovviamente, l'ignoranza o la cultura non cambiano il peso delle nostra azioni, non moralmente, non per la giustizia. Al massimo ci riesce più difficile conciliare aspetti tanto contrastanti nell'animo del singolo individuo. Il confronto fra i quattro anni inflitti alle guardie e l'ergastolo di Hanna sono solo il cavillo della legge. E lo sono pure il confronto fra tutte queste donne e tutta quella parte di umanità che ha reso possibile i crimini disumani dei campi di concentramento, di tutti coloro che sapevano e non hanno fatto nulla.

E così alla fine del film i pensieri spaziano tra il senso della giustizia e quello della legge, tra responsabilità individuale e collettiva, tra ignoranza e cultura, tra rappresentazione letteraria e realtà, tra la capacità di compiere il male e di compiere il giusto e di prenderne coscienza.
L'ultimo pensiero, credo il più importante, è quello che compara la storia del nazismo a quella di oggi. Oggi valutiamo quel periodo storico e urliamo con quello studente, erano tutti colpevoli. E penso che sia così.

Ma cosa urlerà mia figlia contro di me? Da quale schifo sarà colta mia nipote? Io vivo questi giorni, io so. Io lo vedo lo schifo e lo sento cadere su di me, sento sulla mia generazione la colpa di tutto questo.
Vediamo i bombardamenti e l'assedio di Gaza, l'assalto alla Freedom Flotilla, assistiamo inerti mentre i diritti umani vengono infranti ogni sacrosanto giorno, anche nel nostro paese, e ci affranchiamo alle logiche leghiste.

Siamo così sicuri che lo schema che ci fa restare immobili sia tanto dissimile da quello di Hanna? Noi che siamo così capaci di piangere sul finale di un film o di un libro, che reazione abbiamo di fronte ai telegiornali, o peggio, a quello che accade in strada a due passi da noi?

venerdì 9 luglio 2010

The Reader - parte 1

Ieri sera ho avuto modo di vedere un film-capolavoro che ha avuto il merito di scatenare emozioni, riflessioni e discussioni. Il film di cui parlo è The reader.

Qui tento un riassunto tenendomi in bilico tra lo svelare abbastanza dettagli da stimolare nel lettore qualche considerazione immediata e tacerne abbastanza da convincere che vale la pena guardarlo.

Film come questi sono perle abbastanza rare, per la qualità, la delicatezza, le sfumature e i dettagli che la regia e gli attori trasmettono, spingono a riflessioni forse inusuali, forse dolorose e difficili da vedere.

Per il momento taccio le mie considerazioni e me le riservo per il prossimo post (altrimenti rischio di ricadere nel "vuoto del perfezionista").

Le citazioni e i dialoghi sono riportati secondo la mia memoria, per cui potrebbero differire da quelli reali.

The reader

1958, Berlino . Un ragazzo sedicenne si sente male per strada e un donna, Hanna, lo aiuta e lo riporta a casa. Tre mesi dopo, a convalescenza avvenuta, il ragazzo torna da lei con dei fiori per ringraziarla. A quell’incontro, carico di sensualità, ne seguirà un altro dove lei con un pretesto rompe gli indugi e i due iniziano un rapporto.

Si vedono quasi ogni giorno, dapprima solo per il sesso, poi lei gli chiede di leggere qualcosa ogni volta: così l’Odissea, La signora col cagnolino (Checkov), L’amante di Lady Chatterly e molte e varie opere letterarie sono il prologo di ogni amplesso. Durante le letture lei si commuove e ride e, in occasione di una gita in bicicletta, dove si trovano per caso ad ascoltare un coro di musica sacra, addirittura piange a dirotto.

Il rapporto dura un estate, poi due si perdono di vista: lei viene promossa sul posto di lavoro e in seguito ad un litigio, non si fa trovare più in casa.

Qualche anno dopo, nel 1966, il ragazzo, Michael, inizia i suoi studi in legge e segue un seminario di specializzazione con pochi altri studenti. Insieme al docente segue un processo in cui sono imputate delle ex guardie delle SS tra cui scopre, stupito e incredulo, Hanna.

Durante il processo, viene a scoprire che la donna aveva l'abitudine, durante il suo lavoro come guardia, di costringere i prigionieri a leggere per lei. La donna ebrea sopravvissuta ai campi di concentramento e che offre la tremenda testimonianza ricorda come Hanna sembrasse quella più umana, che proteggesse i più deboli, salvo poi condannarli inesorabilmente a morte nelle camere a gas.

Il processo si focalizza su un episodio particolare: durante i bombardamenti le guardie, tra cui Hanna, rinchiudono i prigionieri in una chiesa; l’edificio viene colpito e divampa un incendio che uccide tutti, tutti eccetto la testimone.

Hanna è l’unica a raccontare e le altre imputate fanno fronte comune, accusandola di essere stata la responsabile della decisione di non aprire le porte e che il verbale redatto in giustificazione come rapporto ai superiori è stato scritto da lei. Hanna dapprima nega, ma poi, posta di fronte alla prova calligrafica, confessa di aver scritto il documento di suo pugno. Grazie a questa confessione le altre imputate vengono condannate a quattro anni di carcere per concorso in omicidio, mentre Hanna, l’unica condannata per omicidio, viene costretta all’ergastolo.

Michael realizza, in base ai suoi ricordi, che Hanna non sa né leggere né scrivere e che quindi non può essere stata lei ad aver scritto quel documento, e capisce anche che si addossa quella colpa solo per la vergogna di non saper leggere.

Gli anni passano e Michael si sposa e ha una figlia, ma il matrimonio non dura e, a causa del suo atteggiamento distante, anche il rapporto con la figlia è difficile.

Negli anni Michael non racconta a nessuno della sua storia d’amore, ma conoscendo la sorte di Hanna, decide di inviarle periodicamente delle registrazioni nelle quali legge ad alta voce gli stessi romanzi che le leggeva durante la loro relazione. La donna, ormai anziana, si procura i libri dei romanzi che riceve da Michael e impara in questo modo a leggere e a scrivere.

Dal carcere lei prova a scrivergli delle semplici lettere a cui però lui non risponde. A ridosso della fine della detenzione, Michael viene contattato dal carcere in quanto unico contatto con la donna.

Lui le fa visita e le promette un lavoro e un piccolo dignitoso appartamentino non lontano dalla biblioteca, ma il suo atteggiamento è freddo, distaccato, inquisitorio.

Durante il dialogo, lei ammette che prima del processo non aveva mai pensato al passato. Quando lui le chiede “Cosa provi? Cosa hai imparato?” ottiene una risposta secca: “Che importa cosa provo? I morti sono morti. Cosa ho imparato, ragazzo? Ho imparato a leggere”.

Non dettaglio qui le scene seguenti che conducono alla fine del film, ma questa risposta di Hanna trova un parallelo in una frase, rivolta a Michael, della figlia della donna che aveva testimoniato al processo: “Spesso mi chiedono cosa ho imparato nei campi. Nulla. Non erano un università, un luogo dove si impara. Nei campi non c’era niente. La catarsi vada a cercarla nella letteratura, non nei campi.”

lunedì 5 luglio 2010

Il vuoto del perfezionista

Da troppo tempo ormai trascuro questo diario.

Se fosse fatto di pagine reali sarebbero troppi i fogli sprecati tra le date. La verità è che considero questo spazio prezioso, per cui se non trovo la giusta tranquillità per scrivere neppure apro il blog.

Così cado nella trappola del perfezionista che per fare le cose "per bene", semplicemente evita di farle.
L'importante è divenire consapevoli dei propri schemi.

Mi riprometto di dare la giusta dimensione a questo diario e cercherò di esprimere più vita e meno vuoto.

Butto giù una breve - "lapidaria" - lista di eventi accaduti nell'ultimo periodo:

Il 3 febbraio è nata Vera, la mia seconda figlia.

Ho visitato i luoghi in cui ha vissuto e scritto Pasolini per alcuni anni, a due passi da dove abito.

Ho partecipato con l'associazione Stelle Cadenti alle "Salette del libro".

Ho incontrato persone interessanti e ascoltato la verità su alcuni "fatti" raccontata da coloro che li hanno vissuti in prima persona. E ho visto come tale verità sia stata distorta dai media (mi riferisco ad una presunta rissa avvenuta al Campidoglio a Roma - leggi
qui per saperne di più).

Ho avuto occasione di ascoltare Saviano ed Erri De Luca a Viterbo (in occasione della manifestazione Caffeina).


In paese, una storia di vita sospesa che merita di essere raccontata.


Questa è la superficie.


Vi invito a dare un'occhiata al portale delle "promozioni dal basso" e in particolare a questo progetto cui ho già personalmente dato una mano. Per approfondimenti e richieste di qualunque tipo sul progetto si può visitare il blog di Miryam e contattarla all'indirizzo miryammarino at libero.it; in alternativa potete scrivere a Nicoletta Crocella (nicam6 at gmail.com) che sostiene e promuove l'iniziativa.


Tutti coloro che ricevono i miei interventi per posta elettronica, se lo ritengono opportuno, possono chiedermi tranquillamente di essere eliminati dalla lista inviando una mail a giaare.big at gmail.com.