giovedì 2 dicembre 2010

Paulo Coelho

"Il guerriero della luce crede.
Poiché ha la certezza che il suo pensiero può modificare la vita, la sua vita comincia a mutare."
Paulo Coelho


Abbiamo bisogno di poter credere di avere un potere sulle nostre vite, di poter determinare le nostre condizioni. 
Ho imparato che le nostre convinzioni - e quindi il nostro pensiero - determina le nostre azioni e dunque i risultati che otteniamo, che sono la nostra condizione.

Non c'è un'azione che non sia conseguenza di un pensiero. 

Non c'è cosa più importante di ciò che riteniamo possibile o impossibile.

Se siamo convinti che qualcosa sia impossibile per noi, come possiamo generare l'azione, una qualunque azione, da poter portare quel qualcosa nel campo del possibile?

Le parole che adoperiamo esprimono i nostri pensieri, ne sono il vestito, influenzano il nostro stesso pensiero e i pensieri degli altri. 

Attraverso il dialogo interiore rafforziamo delle convinzioni o le confutiamo. Attraverso il dialogo con gli altri avviene lo stesso. E se questi altri sono i nostri figli, fratelli, o cari, l'affetto che li lega a noi potenzia la forza delle parole.

Resta vero che ciascuno compie le proprie scelte sotto la propria responsabilità, ma il potere delle parole è forte, e ciò è innegabile.

Usare bene le parole, capire l'effetto che hanno su pensieri ed emozioni. 

Per questo la poesia è vita.

E voi, con le vostre parole, come influenzate coloro che vi stanno accanto? Le avvicinate ai loro sogni? Oppure siete realisti e portate tutto giù, in basso, nella medietà?

Non è reale solo se lo vedi.

Rendi reale ciò in cui credi.




sabato 13 novembre 2010

Il club degli imperatori

Scrivo questo intervento, a mezza notte passata, d'impulso.

Ho appena visto il film "Il club degli imperatori" (con Kevin Kline, anno 2003, tratto da un racconto di Ethan Canin), e ha toccato una corda profonda, una corda tesa anche dagli ultimi eventi di cronaca, di gossip politico, di cultura dominante.


Spesso mi sono ritrovato a provare un senso di sconfitta profondo, un senso di sconfitta personale certo, ma anche più generale. Di fronte alla tracotanza del vincente, bugiardo, truffaldino, strafottente, ignorante, di fronte ad un opportunismo ottuso ed utilitaristico, di fronte ai "perché no", allo smantellamento di ogni valore di cultura, di onestà, e più in generale di virtù.

La vita del giusto, la vita nel giusto, è vista come fine a se stessa, inutile, perdente.

Questo senso di sconfitta diventa frustrazione quando non riesco a trovare le parole per spiegare le ragioni, a volte mi ritrovo persino a balbettare.


È come vivere in un altro mondo e non possedere le parole adatte per comunicare.

La saggezza dei filosofi, il sublime senso di poesia di certi versi o storie, l'eredità che grandi civiltà ci hanno tramandato, impallidisce, sbiadisce, scompare, appare privo di senso.

Tutto ciò intorno a cui ho formato la mia sensibilità, il mio animo, il mio carattere è un non-sense di fronte alla spavalderia di chi ha ottenuto il successo ignorando tutto questo, contraddicendolo e calpestandolo.

Mi ritrovo a parlare con una persona più giovane di me che mi dice che la furbizia paga, che i modelli del successo dicono questo, che ci governa, chi è arrivato in alto non ostenta altro che questo. (E allora mi ricordo una battuta di "Napoli milionaria": "arruobbe tu e allora arrobbo pure io!")

Dei principi e delle virtù non frega un cazzo a nessuno. Non hanno tornaconto, cosa fanno ottenere? E allora resto con smozzichi di parole incespicanti tra la lingua e le labbra.

E nella migliore delle ipotesi, mi sento un fesso.

Un silenzioso senso di indignazione mi sale dallo stomaco e brucia, brucia fino alla gola.

giovedì 21 ottobre 2010

La luna nuova

Ero lì ad osservare il cielo in quel minuto che precede l'alba.


In questa soglia sottile dove la notte si schiarisce, ma neppure si può dire che sia ancora giorno, la luna in fase calante mostrava il suo ultimo spicchio, la sua falce sottile, prima di trasformarsi nel cerchio buio della luna nuova.


Nella luce particolare in cui si trovava, era visibile la sua faccia scura che unita alla lama dorata la mostrava per ciò che è, manifestandola sferica e tridimensionale.


E mi sono ritrovato ad osservare un pianeta, con occhi di bambino stupito.


Una notte piena avrebbe reso infinito il suo volto adombrato, reso netto quello illuminato; anche il giorno l'avrebbe celata nella sua luce piatta, sbiadendo anche in argento il suo oro.


Tanto nella notte quanto nel giorno, la luna non è che un disco o una frazione di esso.

lunedì 4 ottobre 2010

Viaggio in Palestina

Di ritorno dalla Palestina Miriam ha subito risistemato i suoi appunti di viaggio, che si sono materializzati in un libro a tempo di record, anche grazie al lavoro della casa editrice Stelle Cadenti.
Sono stato alla presentazione del libro dove erano presenti anche alcuni dei compagni di viaggio di Miriam.

La testimonianza diretta, sebbene spesso non faccia altro che riconfermare fatti e situazioni conosciute, aggiunge un senso di verità a quello che si sente e si legge (e che di solito leggo dallo stesso blog di Miriam).

Ovviamente, quando dico fatti conosciuti, non mi riferisco all'informazione veicolata dai canali ufficiali, le cui storture e omissioni impediscono di farsi un'idea neppure verosimile, figuriamoci reale.
La loro testimonianza porta in rilievo fatti che se anche non sono cruenti rilevano la presenza di una violenza prevaricatrice volta a stremare la popolazione civile e a spogliarla della propria dignità. Ma si vede che lì c'è un popolo che, seppure allo stremo, resiste.

E il simbolo di questa resistenza è un ulivo di duemila anni che campeggia all'ingresso di Kalkilia (foto di Luisa Gaetano).

Miriam ha anche avuto modo di visitare la tomba del poeta Mahmoud Darwish su cui c'è scritto:
Su questa terra
c'è qualcosa che merita la vita
Non ho ancora avuto modo di leggere i suoi appunti, ma sono sicuro che si riveleranno preziose pagine di verità.

In fondo, l'unica richiesta fatta da coloro che Miriam ha incontrato, è stata quella di testimoniare la storia del popolo palestinese, ma anche le piccole storie individuali e quotidiane che ogni singola persona di quel popolo si trova a vivere.

E allora aggiungo anche il mio post.

PS: sul blog di Miriam ci sono moltissime pagine del suo diario di viaggio. Leggete lì. Altrimenti se siete interessanti contattate casa editrice Stelle Cadenti.

lunedì 20 settembre 2010

sabato 18 settembre 2010

'A stella

Oggi questo spazio lo dedico a Bianca, mia nonna.

Da che io ricordi, ha sempre speso il suo tempo migliore al pianoforte o, penna e quadernetto, scrivendo poesie. Col tempo, problemi alla mobilità delle dita, le hanno reso difficoltosa l'esecuzione al piano.

Così adesso passa molto tempo anche risolvendo cruciverba, rebus e altri giochi del genere. Dice che lo fa per tenere la mente sveglia.

Secondo me, è la poesia che le tiene l'anima vibrante.

E d'altra parte la poesia in lei è una conseguenza: è data dalla sua sensibilità, immediatezza, semplicità, profondità. Gioia e nostalgia.

Riporto a memoria la sua prima poesia che imparai molti, molti, anni fa. La recito ogni volta che, di notte, guardo il cielo.
Un paio di suoi libelli li ho qui invece e ne trascriverò qualcuna. Col suo permesso (e il rammarico di quelle escluse).

mercoledì 8 settembre 2010

Scream for me Udine!


L'anno scorso ho festeggiato il mio compleanno con una torta decorata con un art work firmato Iron Maiden. Quest'anno il mio regalo è stato il loro concerto tenuto nell'unica tappa italiana a Udine!

Il viaggio in sé ha costituito una piccola avventura:

domenica 5 settembre 2010

La Città degli Dèi

Si riprende il ritmo usuale dopo brevi (ma intense) vacanze. In attesa di un post dedicato, riprendo gli appunti da un sogno di un paio di mesi fa e lo ripropongo sotto forma di favola. In realtà il suo significato ancora non mi è del tutto chiaro, ma ve lo presento lo stesso così, senza troppe razionalizzazioni. Sarà chiaro al momento opportuno. 
Graditi commenti di ogni genere. 


mercoledì 11 agosto 2010

I sognatori

I sognatori

Essi sono gli architetti della grandezza, nell'anima hanno una visione, scrutano al di là dei veli e delle nebbie del dubbio, superando le mura del Tempo increato. La ruota a puleggia, la rotaia d'acciaio, il propulsore ad elica, non sono altro che le spolette del telaio su cui vanno tessendo i loro arazzi. Facitori dell'Impero, essi hanno lottato per cose ben più grandi delle corone e per seggi ben più elevati dei troni.

Le vostre case poggiano su terre che un giorno furono scoperte da un sognatore.
I vostri quadri alle pareti sono visioni scaturite da anime di sognatori.

Essi sono i pochi eletti, i pionieri. I muri si sgretolano e gli Imperi cadono, l'onda del maremoto che viene dal mare spezza via ogni cosa e sradica la fortezza dalla roccia.
Le nazioni imputridite cadono dai rami del Tempo, e

solo le cose che il sognatore fabbrica sopravvivono.
Herbert Kaufman

mercoledì 4 agosto 2010

9 pensieri



La fede muore sulla lama dei perché

La vita pulsa nel cuore dei desideri

La libertà crolla alle pressioni sulla mente

La dignità imputridisce nel tanfo della miseria

La saggezza risiede nell'anima del silenzio

L'amore vola su ali di fenice

L'odio striscia nella trappola dell'indifferenza

La rabbia cresce nella terra dell'ingiustizia

La gioia sboccia nel fiore d'un istante

lunedì 2 agosto 2010

Soldati, eroi. Uomini. E 3 video.

Torno sull'argomento dei soldati morti in Afghanistan.  Li hanno chiamati eroi.

Non voglio mettere in discussione l'atto coraggioso, il singolo episodio, né le singole persone coinvolte.  
È che, gli eroi, questi eroi, tornano sempre morti.

Questo Paese invia soldati in guerra: appaiono professionisti competenti quando devono partire, spietati quando uccidono (compiendo il loro lavoro), eroi quando tornano morti, consacrati dalle commemorazioni di stato e dai pianti di madri e mogli.

Non sono niente, niente alto che silenzio, quando tornano vivi, protagonisti di nulla.

E poi considero che, se anche ora i soldati di cui parliamo sono vittime, nulla vieta che avremmo potuti vederli tra carnefici, o che lo siano stati, non lo so. Tra quei soldati, ipoteticamente, avrebbero potuto esserci  quelli di "Annichiliscilo Luca" o quelli degli scabrosi episodi avvenuti in Somalia.

Sto mettendo in discussione lo squilibrio della rappresentazione mediatica, le scelte del nostro Paese e quelle internazionali, i nostri modelli culturali.

Sto mettendo in discussione il fatto che quando uccidono si accetta che lo facciano per lavoro, perché la nostra società lo ha reso tale e che, se cadono, sono innalzati ad eroi.

Sto mettendo in discussione il fatto che ogni giorno si consumano nel silenzio tantissimi atti eroici di gente comune.

Ma non è neppure su questo che voglio soffermarmi.

Voglio soffermarmi sul fatto che prima della rappresentazione di ogni eroe e soldato, c'è un uomo.

L'uomo valuta, può conoscere e scegliere. Non più quando è soldato, non completamente, almeno. Un ordine è un ordine. Se il tuo Paese fa una scelta, il soldato compie il suo lavoro, non mette in discussione.

Un uomo che sceglie di divenire un soldato mette tutto nel conto. Uccidere, morire, svolgere una missione che in cui crede o che ritiene sbagliata: sceglie di obbedire, di delegare.

Ma quando penso a un soldato che sta per premere il grilletto penso ad un uomo e al senso che dà a quel gesto. Quando penso ad un soldato che sta per morire su una mina penso al senso che quell'uomo dà alla sua morte.

Ora, se penso ad un eroe, penso ad un soldato che si riprende il suo diritto di essere uomo, di valutare, di mettere in discussione, di riappropriarsi della responsabilità di ogni sua azione e di ogni sua parola.

Vi  lascio con 3 video:

domenica 1 agosto 2010

che dio ci perdoni se stiamo pregando col libro in una mano la bomba nell'altra



Quando il campo va sminato, il nemico ha già fatto la sua mossa.

Resti di fronte a niente, lo sguardo lontano e le gambe bloccate con i piedi fissi nel terreno. Tutto deve essere immobile prima di cominciare.

Il nemico non c'è, neppure osserva. Questa cosa non assomiglia neppure ad una partita a scacchi, non assomiglia a niente.

Il lavoro – la bonifica – è senza movimento: nessun inseguimento, nessun agguato. Nessun attacco o difesa.

È fredda geometria, quasi perfetta, intaccata dalla variabile del sentire umano.
In questa sfida, fatta di ingegno e concentrazione, si gioca la vita e la paura è una carta scoperta.

In queste condizioni uno sbaglio è più che una possibilità: è una probabilità.

 
In seguito alle notizie riguardanti i due soldati italiani morti in Afghanistan non ho potuto trattenere l'immaginazione. Ho provato a immedesimarmi e a capire cosa un uomo possa sentire un attimo prima di compiere un lavoro come quello della bonifica di una zona minata. 

È così che è nata l'immagine, riportata in apertura, di un uomo di fronte al suo destino. Non so effettivamente quanto sia verosimile o valida, ma ci trovo qualcosa di bello, di affascinante.

Ma come stride questo con la banalità della guerra e di questa inutile guerra in particolare. 

E così mi torna in mente il divario fra vita e letteratura, tra vita e rappresentazione.

La rappresentazione mediatica, poi, rappresenta un discorso a parte.

Colgo i fatti di questi giorni per esprimere il mio dissenso, per ora condividendo un video abilmente costruito sulla famosa canzone dei Negrita. 
 

che dio ci perdoni se stiamo pregando col libro in una mano la bomba nell'altra
 

martedì 27 luglio 2010

Ogni sogno…




Ogni sogno è un sole.

I sogni sorgono dalla terra dei desideri

E si innalzano nei cieli dell'immaginazione

Illuminano i paesaggi del futuro, mostrano la strada

Percorrerla è appello di volontà.



Ogni sogno è un dio

Per divenire reale

Pretende tutta la fede,

Esige la consacrazione della vita

Reclama gratitudine ad ogni passo.

È ovunque e dimora dentro il petto

Si scorge nelle tracce di ogni opportunità

Nel suo nome tutto diventa possibile.



Ogni sogno è un io.

sabato 24 luglio 2010

Stelle Cadenti

Oggi rievoco le Fiera delle piccola editoria e delle autoproduzioni organizzata dall'Associazione Stelle Cadenti tenuta in occasione della festa tenuta nel borgo antico di Bassano in Teverina.

Sul sito dell'associazione è stato di poco pubblicato il catalogo della fiera che riepiloga il vissuto di quei giorni, le partecipazioni e gli eventi che hanno avuto luogo.

Vi invito a leggere il catalogo.

In questo post mi limito a riportare poche cose che mi hanno coinvolto direttamente o che ho sentito particolarmente.

La fiera è stata innanzitutto un incontrarsi di esperienze e personalità diverse. Molto interessanti sono stati gli scambi con Marco Sbandi delle Edizioni dei 7 mari, e con la poetessa Lidia Quercia (il suo libro Pietre e dimore ha forti rimandi alla relazione tra pietra e parola che avevo già avuto modo di considerare quando ho raccontato quella piccola storia di vita sospesa).

L'incontro con Giuseppe Spinillo che ha presentato il suo libro "La natura organica del dissenso" ha dato luogo ad un momento interessante. Entrambi abbiamo scoperto di aver scritto una poesia sulla vicenda di Eluana Englaro e mi ha coinvolto nella presentazione facendomi leggere il mio testo.


L'ultimo giorno abbiamo giocato con le parole componendo un mosaico semantico, un cammino di parole, una mappa del presente.

Giocate anche voi e trovate voi la vostra strada di parole.

Infine anche qui l'ultimo saluto ad Alfio Pannega, poeta viterbese morto poco tempo prima della fiera e che ho avuto modo di conoscere un poco l'anno scorso durante la manifestazione Stelle Cadenti. La Banda del racconto ha recitato le sue poesie con una performance poetico-teatrale molto sentita.

Non ho citato Nicoletta Crocella e Mario Palmieri ma la loro presenza e la loro capacità di dare semplicemente costituisce tutto ciò che rende possibile occasioni ed eventi come questo.

La cosa che si può dire di loro è: ci sono, con tutte le difficoltà che comporta veicolare cultura, con tutte le difficoltà fisiche o logistiche, ci sono sempre, sanno tener duro e sanno sottolineare che il risontro non è da cercarsi nei numeri ma nella preziosità di ogni singolo scambio, reazione, relazione.

Concludo con la segnalazione della presentazione tenuta da Nicoletta del libro di Maria G. Di Rienzo edito da Stelle Cadenti: Nostra Signora della Luce. Vi rimando a questo post.

martedì 20 luglio 2010

Una sera d'estate

Succede che la canicola del giorno riscalda le pietre delle case, le imbeve di fuoco.

Così alla sera, quando nel paese comincia a levarsi un po' di frescura, le pietre espellono dentro il calore assorbito e fuori gli ospiti esausti.

In queste sere, i bambini sguazzano tra le due particolari semilibertà: quella della piazzetta, dello slargo, del vicolo o del giardinetto e quella della casa deserta, completamente aperta alla sera, in cui recuperare giocattoli o oggetti di ogni tipo da portare fuori.

Queste esplorazioni, particolarmente fugaci quelle negli appartamenti, avvengono sotto gli occhi stanchi dei guardiani rilassati sulle panchine, scale o improbabili sedute.

Particolare davvero il ritrovamento di queste sere di mia figlia. Entrata in casa in cerca di fogli per colorare, è riuscita a prelevare i fogli di bozza di un libro di poesie.

Così per gioco mentre un foglio veniva tracciato a colore, il suo retro si prestava ad una lettura, un po' goliardica, un po' ironica. Così, prima da solo, poi con mia moglie, sotto gli occhi di qualche vicino di casa e di pochi sporadici passanti, ci siamo divertiti a proclamare ad alta voce questi versi.

Pooca cosa davvero, ma non ho mai apprezzato tanto delle poesie, e quelle poesie in particolare.

Come a dire che i libri, talvolta, sono vestiti troppo pesanti per fogli che vogliono rimanere leggeri, che vogliono essere afferrati come gli istanti, un po' a volo, con l'intenzione dello spizzico e la massima serietà del gioco.

Le poesie sono quelle del poeta Giuseppe Spinillo e la bozza era quella del libro "La natura organica del dissenso" edito dalle Edizioni Stelle Cadenti. Amari, duri, seri se preferite, i temi trattati, ma con quale ironia, e quanti giochi di parole e di suoni! Si sono prestati benissimo all'improvvisata.

Sono sicuro che sia l'autore che l'editore siano contenti di queste letture tenute al volo nel salotto di una piccola viuzza di paese per l'elite di un vicinato e due passanti.

In fondo abbiamo fatto dissentire persino la poesia. Quella accademica, s'intende.

Così per gioco una sera d'estate abbiamo tracciato a colore.




Di seguito qualcuno di quei versi di Giuseppe Spinillo che hanno colorato la serata (tranquillamente riportati in copyleft).




Non mi dimetto

Non mi dimetto
Non mi arrendo
non mi arrendo
non scendo
non mi scado
non mi scordo non vendo
non le stacco
le ventose dal vetro
non mi volto
non ci torno più indietro
non mi arrendo
non mi arrendo
non le stendo
le mie braccia a quel cielo
non asciugo la vita
non la spendo
non mi arrendo
non mi arrendo […]
Giuseppe Spinillo


Razza e biscotti (14/08/2008 - ad Abdoul Salam Guiebre detto Abba)
Non li mangio i tuoi biscotti
Sono limiti di briciole sul petto
Sono lividi su questo inizio notte

Non li mangio i tuoi biscotti
La tua razza è fatta da chi se ne fotte
Sono rantoli di uova burro e bile
Mescolati con fango, asfalto e miele
Additivi, ogm e rimasugli
Di un amore andato a male
Sono tracce di sudore sangue e rabbia

Non li mangio i tuoi biscotti
Con granelli di una sabbia tra le unghie
Preso a calci pugni e sputi
Da una razza di animale che
Difende il suo potere da ogni vento
Che minaccia cambiamento

Non li mangio i tuoi biscotti

Giuseppe Spinillo

domenica 18 luglio 2010

Era solo una presenza silenziosa

In seguito al post Una piccola storia di vita sospesa, dagli stessi appunti, mi è risultato più che naturale condensare una poesia. Credo che il ritorno sull'argomento mi possa essere perdonato.

Era solo una presenza silenziosa.

Era solo una presenza silenziosa.
La sua storia
una costruzione incompiuta
il tempo sospeso
per il figlio morto innanzi.
Gli occhi dietro al vetro
dall'angolo sommesso
il tripudio dei fiori
- La bellezza oltre l'amaro.

Alla fine del tempo
il tempo scorre di nuovo.
Nell'ombra c'è ancora colore.
La pietra resta
e tutto cambia.

mercoledì 14 luglio 2010

Lunanuvola

Le recenti cronache che vedono il perpetuarsi di crimini efferati e inutili nei confronti delle donne non possono lasciare indifferenti.

Per ora mi limito a segnalare il blog di Maria G. Di Rienzo Lunanuvola.
Da seguire.

Una piccola storia di vita sospesa

Bisogna provare a raccontarla questa storia, di una vita sospesa. Bisogna farlo prima che vada perduta.

Questa storia la narra ora, fievole, l'assenza della persona che l'ha resa viva.

Me la ricordo, mi ricordo la sua presenza immobile, quando sono arrivato in paese, pochi anni fa, quando venivo a conoscere le sue strade e la casa che sarebbe stata mia. Era una anziana donna, di primo acchitto non quel che si dice una simpatica vecchietta, lo sguardo fisso ora attento ora vacuo, la sua smorfia amara, che però sapeva sciogliersi per la bimba piccola che avevo in braccio.

Più volte ho colto quel sorriso e quasi sempre rivolto ad un bambino o ad un altro, quasi mai per altri, neppure verso ragazzi appena più grandi.

Ebbi poi modo di comprendere il perché.

Il mio rapporto con lei si limitava ad uno sguardo e ad un saluto ad ogni mio transito mentre andavo o venivo da casa. La incontravo sempre nello stesso punto, nel suo angolo vicino all'uscio della sua casa, in secondo piano, appena nascosto alla piazzetta di passaggio.
Nelle giornate troppo fredde o troppo calde guardava fisso da dietro al vetro della porta di casa, mirando lo scorcio che le case e i muri prospicienti alla piazzetta consentivano.

Dunque, per me non era molto di più della sua presenza dimessa.

Era bellissimo il suo angolo, un tripudio di fiori che lei curava come se fosse un quadro e quell'attenzione solo un modo per dipingere, ma non ostentato per sua stessa natura.
Ancora ora, mentre scrivo, un passante che attraversi la piazzetta, potrebbe capire la bellezza di quell'angolo solo se, visto lo sprazzo di colore provenire dalla viuzza, si affacci oltre la soglia entrando in quel secondo piano.

Le voci del paese non tardarono a farmi arrivare la sua storia, anche senza una domanda specifica da parte mia. Aveva un figlio, un ragazzino, e per lui era già in costruzione un piccolo palazzetto in tufo, come si usa nella zona.
Il fabbricato cresceva piano, come le possibilità permettevano. Il figlio morì mentre giocava col pallone, schiacciato sotto un enorme masso di tufo che si staccò dalla roccia.

La costruzione del palazzetto si fermò in quell'istante e le fila dei mattoni non andarono oltre il garage. Quell'incompiuto divenne incedibile e ancora oggi è lì. Per la madre, insopportabile divenne il rimbalzo di ogni pallone e l'euforia di ogni ragazzo.

Il tempo fu sospeso nonostante i giorni, gli anni, il sole e la pioggia.

Restano quelle pietre, testimoni impassibili di un tempo trascorso inutilmente.

Ora il tempo ha ripreso a scorrere, accelerato, tutto a tratto, come a riprendere gli istanti perduti. Forse si udrà il suono del rimbalzo di qualche pallone. Qualcuno reclamerà quella terra, quelle pietre e completerà quello che non poteva essere portato a termine. Forse i fiori appassiranno o forse qualcuno li curerà come fossero la sua memoria.

A volte ci sono vite delicate, che nascondono un senso di poesia, tragica, ma pur sempre poesia.

Credo che valesse la pena parlare di come il tempo possa essere sospeso e di come possa riguadagnare tutto in una indifferente accelerazione.

E la pietra, la pietra che sa essere tutto: progetto, speranza, disperazione tragedia, testimonianza. E poi diventare di nuovo indifferente.

lunedì 12 luglio 2010

The Reader - parte 2 (un mio commento)

Questo post fa seguito a quello precedente che contiene un sunto del film The Reader e contiene un po' di considerazioni personali.

Le riflessioni che voglio scrivere in questo spazio sono suggeriti dai contrappunti che mi pare di aver letto nel film: giustizia-legge, individuo-nazione, sentire-fare, vita-letteratura, e passato-presente.

Innanzitutto quel processo, come ogni processo, non ha a che fare con la giustizia, ma con la legge, e la legge è cavillosa.

Hanna è senza dubbio colpevole agli occhi della giustizia perché era lì, era una sorvegliante. Ma sono moralmente colpevoli anche coloro che sapevano e avevano accettato, è colpevole una nazione intera, l'Europa, tutta una generazione. I giudici stessi, in verità, sono moralmente colpevoli.

"Come avete fatto a non spararvi tutti?" è la domanda urlata di uno studente in legge durante il seminario: tale doveva essere l'orrore per la presa di coscienza dell'accaduto. I campi erano lì, lì vicino e tutti sapevano.

Ma la legge, dicevo, è cavillosa, fa dei distinguo. Le altre sorveglianti erano lì con Hanna, ma unite non parlano. Hanna parla e alla fine gliela fanno pagare, diventa il "capro espiatorio". Tutte le addossano la colpa di aver redatto un falso rapporto.

Non sa leggere, è analfabeta, e se ne vergogna. Alla prova calligrafica crolla e prende su di sé la colpa per qualcosa che non ha - giuridicamente - commesso. Non lo fa per espiazione, ma per vergogna, per la vergogna di essere analfabeta, non di essere una assassina.

Agghiacciante il momento in cui Hanna, incalzata dal giudice, afferma che non c'era altro modo, dovevano arrivare le nuove e non c'era spazio per tutte. La camera a gas veniva vista come l'unica soluzione possibile, veniva accettata.

Agghiacciante, mi pare, per la mancanza di consapevolezza, di presa di coscienza del proprio operato. E questa sensazione è acuita dal fatto che si dimostra sensibile alle storie, alle rappresentazioni della letteratura che brama di continuo.

Hanna, piange e ride per le storie che ascolta, si commuove alla musica sacra, è toccata nel profondo. Eppure sembra incapace di comprendere il peso del suo gesto. Qui vedo che il film evidenzi a una frattura importante che merita di essere letta, un fendente doloroso.

Sono sempre stato abituato a pensare che certi atteggiamenti o comportamenti, privi di empatia o compassione, fossero figli dell'ignoranza più bruta, che la letteratura, la cultura in generale, avesse influenza sullo spirito (penso ai concetti di humanitas e di pietas) ma questa storia ci mostra un personaggio che fa vacillare questa convinzione. A pensarci è la Storia a mostrarlo: si pensi alla classe dirigente tedesca, ai crimini efferati di cui si è resa protagonista. E magari poi la si immagini al teatro dell'opera, magari con gli occhi lucidi; pensateli a quando hanno accarezzato i loro figli, le loro amanti.

Senza nessuna logica revisionista, questa storia evidenzia che coloro che hanno preso parte o sono stati testimoni inerti di crimini così disumani e atroci in verità erano persone, con tutte le sfaccettature e le complessità che questo comporta, e non il male assoluto. Questo non significa assolverle, giustificarle o mitigare le loro colpe, ma aggiungere un grado di complessità necessario per comprendere l'Uomo.

Ricordando qualche lettura di Heinrich Boll, mi pare di vedere in Hanna il simbolo della Germania intera che non ha scavato a fondo nelle proprie colpe, è andata avanti, ha ricostruito senza soffermarsi sul passato, se non brevemente, come un inciso. Forse il processo stesso - nel suo cavilloso esser legge e non giustizia - è simbolo e sintomo di questo.

Hanna ammette che prima del processo non aveva mai pensato al passato. Ma alla fine "Che importa cosa provo? I morti sono morti. Cosa ho imparato, ragazzo? Ho imparato a leggere".
D'altra parte anche chi ha subito, chi ha perso la propria condizione umana, sottolinea la sterilità di quella condizione di quella esperienza: "Cosa ho imparato nei campi? Nulla, non erano un università, un luogo dove si impara. nei campi non c'era niente. La catarsi vada a cercarla nella letteratura, non nei campi".

Molti anni dopo, in un luogo molto distante, in un ambiente ricco, l'inquadratura è fissa sull'espressione dura, i lineamenti amari. Cambia qualcosa che Hanna fosse ignorante o colta? Questo la renderebbe meno colpevole?
No , ovviamente, l'ignoranza o la cultura non cambiano il peso delle nostra azioni, non moralmente, non per la giustizia. Al massimo ci riesce più difficile conciliare aspetti tanto contrastanti nell'animo del singolo individuo. Il confronto fra i quattro anni inflitti alle guardie e l'ergastolo di Hanna sono solo il cavillo della legge. E lo sono pure il confronto fra tutte queste donne e tutta quella parte di umanità che ha reso possibile i crimini disumani dei campi di concentramento, di tutti coloro che sapevano e non hanno fatto nulla.

E così alla fine del film i pensieri spaziano tra il senso della giustizia e quello della legge, tra responsabilità individuale e collettiva, tra ignoranza e cultura, tra rappresentazione letteraria e realtà, tra la capacità di compiere il male e di compiere il giusto e di prenderne coscienza.
L'ultimo pensiero, credo il più importante, è quello che compara la storia del nazismo a quella di oggi. Oggi valutiamo quel periodo storico e urliamo con quello studente, erano tutti colpevoli. E penso che sia così.

Ma cosa urlerà mia figlia contro di me? Da quale schifo sarà colta mia nipote? Io vivo questi giorni, io so. Io lo vedo lo schifo e lo sento cadere su di me, sento sulla mia generazione la colpa di tutto questo.
Vediamo i bombardamenti e l'assedio di Gaza, l'assalto alla Freedom Flotilla, assistiamo inerti mentre i diritti umani vengono infranti ogni sacrosanto giorno, anche nel nostro paese, e ci affranchiamo alle logiche leghiste.

Siamo così sicuri che lo schema che ci fa restare immobili sia tanto dissimile da quello di Hanna? Noi che siamo così capaci di piangere sul finale di un film o di un libro, che reazione abbiamo di fronte ai telegiornali, o peggio, a quello che accade in strada a due passi da noi?

venerdì 9 luglio 2010

The Reader - parte 1

Ieri sera ho avuto modo di vedere un film-capolavoro che ha avuto il merito di scatenare emozioni, riflessioni e discussioni. Il film di cui parlo è The reader.

Qui tento un riassunto tenendomi in bilico tra lo svelare abbastanza dettagli da stimolare nel lettore qualche considerazione immediata e tacerne abbastanza da convincere che vale la pena guardarlo.

Film come questi sono perle abbastanza rare, per la qualità, la delicatezza, le sfumature e i dettagli che la regia e gli attori trasmettono, spingono a riflessioni forse inusuali, forse dolorose e difficili da vedere.

Per il momento taccio le mie considerazioni e me le riservo per il prossimo post (altrimenti rischio di ricadere nel "vuoto del perfezionista").

Le citazioni e i dialoghi sono riportati secondo la mia memoria, per cui potrebbero differire da quelli reali.

The reader

1958, Berlino . Un ragazzo sedicenne si sente male per strada e un donna, Hanna, lo aiuta e lo riporta a casa. Tre mesi dopo, a convalescenza avvenuta, il ragazzo torna da lei con dei fiori per ringraziarla. A quell’incontro, carico di sensualità, ne seguirà un altro dove lei con un pretesto rompe gli indugi e i due iniziano un rapporto.

Si vedono quasi ogni giorno, dapprima solo per il sesso, poi lei gli chiede di leggere qualcosa ogni volta: così l’Odissea, La signora col cagnolino (Checkov), L’amante di Lady Chatterly e molte e varie opere letterarie sono il prologo di ogni amplesso. Durante le letture lei si commuove e ride e, in occasione di una gita in bicicletta, dove si trovano per caso ad ascoltare un coro di musica sacra, addirittura piange a dirotto.

Il rapporto dura un estate, poi due si perdono di vista: lei viene promossa sul posto di lavoro e in seguito ad un litigio, non si fa trovare più in casa.

Qualche anno dopo, nel 1966, il ragazzo, Michael, inizia i suoi studi in legge e segue un seminario di specializzazione con pochi altri studenti. Insieme al docente segue un processo in cui sono imputate delle ex guardie delle SS tra cui scopre, stupito e incredulo, Hanna.

Durante il processo, viene a scoprire che la donna aveva l'abitudine, durante il suo lavoro come guardia, di costringere i prigionieri a leggere per lei. La donna ebrea sopravvissuta ai campi di concentramento e che offre la tremenda testimonianza ricorda come Hanna sembrasse quella più umana, che proteggesse i più deboli, salvo poi condannarli inesorabilmente a morte nelle camere a gas.

Il processo si focalizza su un episodio particolare: durante i bombardamenti le guardie, tra cui Hanna, rinchiudono i prigionieri in una chiesa; l’edificio viene colpito e divampa un incendio che uccide tutti, tutti eccetto la testimone.

Hanna è l’unica a raccontare e le altre imputate fanno fronte comune, accusandola di essere stata la responsabile della decisione di non aprire le porte e che il verbale redatto in giustificazione come rapporto ai superiori è stato scritto da lei. Hanna dapprima nega, ma poi, posta di fronte alla prova calligrafica, confessa di aver scritto il documento di suo pugno. Grazie a questa confessione le altre imputate vengono condannate a quattro anni di carcere per concorso in omicidio, mentre Hanna, l’unica condannata per omicidio, viene costretta all’ergastolo.

Michael realizza, in base ai suoi ricordi, che Hanna non sa né leggere né scrivere e che quindi non può essere stata lei ad aver scritto quel documento, e capisce anche che si addossa quella colpa solo per la vergogna di non saper leggere.

Gli anni passano e Michael si sposa e ha una figlia, ma il matrimonio non dura e, a causa del suo atteggiamento distante, anche il rapporto con la figlia è difficile.

Negli anni Michael non racconta a nessuno della sua storia d’amore, ma conoscendo la sorte di Hanna, decide di inviarle periodicamente delle registrazioni nelle quali legge ad alta voce gli stessi romanzi che le leggeva durante la loro relazione. La donna, ormai anziana, si procura i libri dei romanzi che riceve da Michael e impara in questo modo a leggere e a scrivere.

Dal carcere lei prova a scrivergli delle semplici lettere a cui però lui non risponde. A ridosso della fine della detenzione, Michael viene contattato dal carcere in quanto unico contatto con la donna.

Lui le fa visita e le promette un lavoro e un piccolo dignitoso appartamentino non lontano dalla biblioteca, ma il suo atteggiamento è freddo, distaccato, inquisitorio.

Durante il dialogo, lei ammette che prima del processo non aveva mai pensato al passato. Quando lui le chiede “Cosa provi? Cosa hai imparato?” ottiene una risposta secca: “Che importa cosa provo? I morti sono morti. Cosa ho imparato, ragazzo? Ho imparato a leggere”.

Non dettaglio qui le scene seguenti che conducono alla fine del film, ma questa risposta di Hanna trova un parallelo in una frase, rivolta a Michael, della figlia della donna che aveva testimoniato al processo: “Spesso mi chiedono cosa ho imparato nei campi. Nulla. Non erano un università, un luogo dove si impara. Nei campi non c’era niente. La catarsi vada a cercarla nella letteratura, non nei campi.”

lunedì 5 luglio 2010

Il vuoto del perfezionista

Da troppo tempo ormai trascuro questo diario.

Se fosse fatto di pagine reali sarebbero troppi i fogli sprecati tra le date. La verità è che considero questo spazio prezioso, per cui se non trovo la giusta tranquillità per scrivere neppure apro il blog.

Così cado nella trappola del perfezionista che per fare le cose "per bene", semplicemente evita di farle.
L'importante è divenire consapevoli dei propri schemi.

Mi riprometto di dare la giusta dimensione a questo diario e cercherò di esprimere più vita e meno vuoto.

Butto giù una breve - "lapidaria" - lista di eventi accaduti nell'ultimo periodo:

Il 3 febbraio è nata Vera, la mia seconda figlia.

Ho visitato i luoghi in cui ha vissuto e scritto Pasolini per alcuni anni, a due passi da dove abito.

Ho partecipato con l'associazione Stelle Cadenti alle "Salette del libro".

Ho incontrato persone interessanti e ascoltato la verità su alcuni "fatti" raccontata da coloro che li hanno vissuti in prima persona. E ho visto come tale verità sia stata distorta dai media (mi riferisco ad una presunta rissa avvenuta al Campidoglio a Roma - leggi
qui per saperne di più).

Ho avuto occasione di ascoltare Saviano ed Erri De Luca a Viterbo (in occasione della manifestazione Caffeina).


In paese, una storia di vita sospesa che merita di essere raccontata.


Questa è la superficie.


Vi invito a dare un'occhiata al portale delle "promozioni dal basso" e in particolare a questo progetto cui ho già personalmente dato una mano. Per approfondimenti e richieste di qualunque tipo sul progetto si può visitare il blog di Miryam e contattarla all'indirizzo miryammarino at libero.it; in alternativa potete scrivere a Nicoletta Crocella (nicam6 at gmail.com) che sostiene e promuove l'iniziativa.


Tutti coloro che ricevono i miei interventi per posta elettronica, se lo ritengono opportuno, possono chiedermi tranquillamente di essere eliminati dalla lista inviando una mail a giaare.big at gmail.com.