giovedì 3 luglio 2014

Digrammi Applicati (a Tren-Italia) di Eulero Venn

Ripropongo un vecchio racconto che non avevo mai pubblicato sul blog.

Ce l’ho fatta. Sono salito al volo sul treno da Tiburtina. Sarà pieno e starò in piedi, ma non potevo arrivare a Termini per tempo. Comincio a risalire i vagoni in cerca di un posto vuoto, la signora davanti a me ha una valigia ed è lentissima,. Niente da fare è pieno, mi arrendo, supero la carrozza di prima poi mi fermo vicino alla porta di uscita. L’uomo di colore che era dietro di me torna indietro, riapre la porta e si siede. In prima. E no! Quel nero fa il furbo qui in Italia. Ma perché non se ne ritornano al loro paese a fare come gli pare? Rispetto le regole e questi se ne fottono. Scommetto che non ha neppure il biglietto.

Fa caldo, per fortuna c’è un minimo di aria condizionata anche se qualcuno ha aperto i finestrini. Speriamo che non vada in blocco. Ne approfitto per rilassarmi e mi allento la cravatta. Vicino a me si siede un uomo claudicante. Porta la stampella e ha una piccola borsa che si appoggia sulle gambe. Mi offro di metterla sul portapacchi ma l’uomo rifiuta con un gesto. Forse non parla neppure l’italiano. Sospetto che non abbia il biglietto di prima, perché è appena passato e ha fatto per andare avanti, in seconda, poi è tornato indietro e si è seduto. Il treno a quest’ora è sempre pieno. Spero che il controllore sia comprensivo.

Finalmente è l’ultimo treno, per l’ultimo giorno prima delle vacanze estive. Stasera a Perugia e domani riposo. Abbiamo da poco lasciato Roma, comincio il controllo dei biglietti. Questo treno è sempre pienissimo. Arrivo in prima e chiedo il biglietto a due signori. Uno è straniero e ha il biglietto di seconda. Sto per chiedergli di alzarsi e di andare in seconda ma vedo la stampella. Il tipo elegante di fianco a lui mi lancia un’occhiata, poi farfuglia qualcosa che non capisco: c’è troppo rumore per il vento. “Signori chiudete i finestrini c’è l’aria condizionata”, dico a voce alta. Va sempre in blocco perché questi devono tenere i finestrini aperti. Poi si lamentano che siamo in Italia, come se non fossero loro. Lascio perdere e proseguo avanti.

Come si vede che siamo in Italia. Il solito lassismo. Leggevo il giornale ma ho smesso apposta per guardare la scena. Aspettavo il momento in cui il controllore non avrebbe fatto la multa al nero seduto sull’altro lato del corridoio. Se fosse stato italiano lo avrebbe multato. Magari è pure un clandestino. Ma perché non fanno il loro dovere e basta?

Oggi sono salito in testa. La prima carrozza è piena e allora vado verso la coda. In genere arrivo fino all’ultima carrozza perché, anche se c’è gente in piedi, un posto libero lo trovo. È che, ad un certo punto, la gente si arrende. Le persone vanno su e giù, si incrociano e si convincono che è tutto pieno. Io no. Vado fino in fondo e di solito mi siedo. Ho visto una signora seduta che trafficava con una valigia appoggiata sul sedile di fronte. Il treno è pieno e questa tiene la valigia così. Non ho voglia di discutere e passo oltre.


Sono davvero stanco e fa caldo. Questa stampella poi rende le cose più difficili. Ho attraversato due carrozze e nessuno si è alzato per farmi sedere. Non me lo sarei aspettato. Veramente non so spiegarmelo. Non che abbia il diritto di pretendere alcunché, per carità, ed è per questo che non chiedo niente a nessuno. Abbiamo superato la carrozza di prima classe ed è praticamente vuota, ma ho il biglietto di seconda. Vorrei andare ancora avanti. Dal vetro vedo nella carrozza successiva un sedile occupato da una valigia. Potrei chiedere la gentilezza… ma il signore che mi precede è insofferente e si ferma: non ce la faccio a girargli intorno. Sono stanco ed è davvero troppa fatica con un piede solo. Torno in prima e speriamo bene. Se c’è da pagare, pagherò.

mercoledì 12 marzo 2014

comme si te putesse chiamma'

Sta jurnata scorre fore 'o finestrino, è sera e nun se vede niente, comme si vedesse int'a capa. E penso: 'natu ppoco e so' arrivato, m'aizo e me mmesco cu e giubbini e borse e 'e giacche 'e 'llate;  'o treno se ferma e po' traso int'a 'sta fiummana 'e ggente che a poco a poco si dirada. Po',mmieze a quattro luci sulitarie, arrivo int'a machina, poso a borza e suspiro pe vutta' fore sta jurnata... e finalmente sto sulo. 

E allora aggia sulamente allunga' 'a mano e gira' 'a chiave, ma me vene 'a chiagnere e poi accummencio a singhiuzza' comm'a nu strunzo e me preme ncoppo 'o pietto 'na mano invisibile ca nunn'o vulesse fa asci' stu dolore, e invece esce 'o stesso comme fosse acqua int'a 'na butteglia girata troppo ambress... 

Me giro e dico papà comme si te putesse chiamma' e te tenesse affianco e te guardasse... e vulesse essere guardato comme cierti vvote me guardave tu cu chell'aria nu poco interrogativa e chi te vo' bbene e vo' capi' ccomme te l'adda da' stu consiglio. Po' magari me mettive sulo 'na mana ncapa int'e capille pe me fa forza e nun me dicive niente... E sto ca 'a capa girata comme si veramente te guardasse, e te chiammo comme a dicere si puo' vieneme a vede'

Po' me calmo m'asciutto ll'uocchie e aspetto comme niente fosse. Appiccio 'a radio, giro 'a chiave... 'e penso mo' turnamme 'a casa che nunn'e' fernuta.

mercoledì 9 ottobre 2013

Infiniti ritorni

Nella polpa sugosa del tuo sesso 
Entra la mia anima 
E tra le pieghe di carne e spirito 
Attraverso il tuo ventre 
Fino alle bianche colline dei seni 
Turgidi di smania e d'amore. 
Dalle piazze dei capezzoli 
Risalgo le vie del petto e del collo 
Fin su invado orecchie occhi naso e bocca 
Dalle labbra alle lingue 
In questo viaggio al contrario 
In questo ritorno a casa.

Poi la solitudine dei corpi 
Non dice ciò che nello spirito è compiuto 
E già domanda infiniti ritorni.