mercoledì 11 agosto 2010

I sognatori

I sognatori

Essi sono gli architetti della grandezza, nell'anima hanno una visione, scrutano al di là dei veli e delle nebbie del dubbio, superando le mura del Tempo increato. La ruota a puleggia, la rotaia d'acciaio, il propulsore ad elica, non sono altro che le spolette del telaio su cui vanno tessendo i loro arazzi. Facitori dell'Impero, essi hanno lottato per cose ben più grandi delle corone e per seggi ben più elevati dei troni.

Le vostre case poggiano su terre che un giorno furono scoperte da un sognatore.
I vostri quadri alle pareti sono visioni scaturite da anime di sognatori.

Essi sono i pochi eletti, i pionieri. I muri si sgretolano e gli Imperi cadono, l'onda del maremoto che viene dal mare spezza via ogni cosa e sradica la fortezza dalla roccia.
Le nazioni imputridite cadono dai rami del Tempo, e

solo le cose che il sognatore fabbrica sopravvivono.
Herbert Kaufman

mercoledì 4 agosto 2010

9 pensieri



La fede muore sulla lama dei perché

La vita pulsa nel cuore dei desideri

La libertà crolla alle pressioni sulla mente

La dignità imputridisce nel tanfo della miseria

La saggezza risiede nell'anima del silenzio

L'amore vola su ali di fenice

L'odio striscia nella trappola dell'indifferenza

La rabbia cresce nella terra dell'ingiustizia

La gioia sboccia nel fiore d'un istante

lunedì 2 agosto 2010

Soldati, eroi. Uomini. E 3 video.

Torno sull'argomento dei soldati morti in Afghanistan.  Li hanno chiamati eroi.

Non voglio mettere in discussione l'atto coraggioso, il singolo episodio, né le singole persone coinvolte.  
È che, gli eroi, questi eroi, tornano sempre morti.

Questo Paese invia soldati in guerra: appaiono professionisti competenti quando devono partire, spietati quando uccidono (compiendo il loro lavoro), eroi quando tornano morti, consacrati dalle commemorazioni di stato e dai pianti di madri e mogli.

Non sono niente, niente alto che silenzio, quando tornano vivi, protagonisti di nulla.

E poi considero che, se anche ora i soldati di cui parliamo sono vittime, nulla vieta che avremmo potuti vederli tra carnefici, o che lo siano stati, non lo so. Tra quei soldati, ipoteticamente, avrebbero potuto esserci  quelli di "Annichiliscilo Luca" o quelli degli scabrosi episodi avvenuti in Somalia.

Sto mettendo in discussione lo squilibrio della rappresentazione mediatica, le scelte del nostro Paese e quelle internazionali, i nostri modelli culturali.

Sto mettendo in discussione il fatto che quando uccidono si accetta che lo facciano per lavoro, perché la nostra società lo ha reso tale e che, se cadono, sono innalzati ad eroi.

Sto mettendo in discussione il fatto che ogni giorno si consumano nel silenzio tantissimi atti eroici di gente comune.

Ma non è neppure su questo che voglio soffermarmi.

Voglio soffermarmi sul fatto che prima della rappresentazione di ogni eroe e soldato, c'è un uomo.

L'uomo valuta, può conoscere e scegliere. Non più quando è soldato, non completamente, almeno. Un ordine è un ordine. Se il tuo Paese fa una scelta, il soldato compie il suo lavoro, non mette in discussione.

Un uomo che sceglie di divenire un soldato mette tutto nel conto. Uccidere, morire, svolgere una missione che in cui crede o che ritiene sbagliata: sceglie di obbedire, di delegare.

Ma quando penso a un soldato che sta per premere il grilletto penso ad un uomo e al senso che dà a quel gesto. Quando penso ad un soldato che sta per morire su una mina penso al senso che quell'uomo dà alla sua morte.

Ora, se penso ad un eroe, penso ad un soldato che si riprende il suo diritto di essere uomo, di valutare, di mettere in discussione, di riappropriarsi della responsabilità di ogni sua azione e di ogni sua parola.

Vi  lascio con 3 video:

domenica 1 agosto 2010

che dio ci perdoni se stiamo pregando col libro in una mano la bomba nell'altra



Quando il campo va sminato, il nemico ha già fatto la sua mossa.

Resti di fronte a niente, lo sguardo lontano e le gambe bloccate con i piedi fissi nel terreno. Tutto deve essere immobile prima di cominciare.

Il nemico non c'è, neppure osserva. Questa cosa non assomiglia neppure ad una partita a scacchi, non assomiglia a niente.

Il lavoro – la bonifica – è senza movimento: nessun inseguimento, nessun agguato. Nessun attacco o difesa.

È fredda geometria, quasi perfetta, intaccata dalla variabile del sentire umano.
In questa sfida, fatta di ingegno e concentrazione, si gioca la vita e la paura è una carta scoperta.

In queste condizioni uno sbaglio è più che una possibilità: è una probabilità.

 
In seguito alle notizie riguardanti i due soldati italiani morti in Afghanistan non ho potuto trattenere l'immaginazione. Ho provato a immedesimarmi e a capire cosa un uomo possa sentire un attimo prima di compiere un lavoro come quello della bonifica di una zona minata. 

È così che è nata l'immagine, riportata in apertura, di un uomo di fronte al suo destino. Non so effettivamente quanto sia verosimile o valida, ma ci trovo qualcosa di bello, di affascinante.

Ma come stride questo con la banalità della guerra e di questa inutile guerra in particolare. 

E così mi torna in mente il divario fra vita e letteratura, tra vita e rappresentazione.

La rappresentazione mediatica, poi, rappresenta un discorso a parte.

Colgo i fatti di questi giorni per esprimere il mio dissenso, per ora condividendo un video abilmente costruito sulla famosa canzone dei Negrita. 
 

che dio ci perdoni se stiamo pregando col libro in una mano la bomba nell'altra