venerdì 9 luglio 2010

The Reader - parte 1

Ieri sera ho avuto modo di vedere un film-capolavoro che ha avuto il merito di scatenare emozioni, riflessioni e discussioni. Il film di cui parlo è The reader.

Qui tento un riassunto tenendomi in bilico tra lo svelare abbastanza dettagli da stimolare nel lettore qualche considerazione immediata e tacerne abbastanza da convincere che vale la pena guardarlo.

Film come questi sono perle abbastanza rare, per la qualità, la delicatezza, le sfumature e i dettagli che la regia e gli attori trasmettono, spingono a riflessioni forse inusuali, forse dolorose e difficili da vedere.

Per il momento taccio le mie considerazioni e me le riservo per il prossimo post (altrimenti rischio di ricadere nel "vuoto del perfezionista").

Le citazioni e i dialoghi sono riportati secondo la mia memoria, per cui potrebbero differire da quelli reali.

The reader

1958, Berlino . Un ragazzo sedicenne si sente male per strada e un donna, Hanna, lo aiuta e lo riporta a casa. Tre mesi dopo, a convalescenza avvenuta, il ragazzo torna da lei con dei fiori per ringraziarla. A quell’incontro, carico di sensualità, ne seguirà un altro dove lei con un pretesto rompe gli indugi e i due iniziano un rapporto.

Si vedono quasi ogni giorno, dapprima solo per il sesso, poi lei gli chiede di leggere qualcosa ogni volta: così l’Odissea, La signora col cagnolino (Checkov), L’amante di Lady Chatterly e molte e varie opere letterarie sono il prologo di ogni amplesso. Durante le letture lei si commuove e ride e, in occasione di una gita in bicicletta, dove si trovano per caso ad ascoltare un coro di musica sacra, addirittura piange a dirotto.

Il rapporto dura un estate, poi due si perdono di vista: lei viene promossa sul posto di lavoro e in seguito ad un litigio, non si fa trovare più in casa.

Qualche anno dopo, nel 1966, il ragazzo, Michael, inizia i suoi studi in legge e segue un seminario di specializzazione con pochi altri studenti. Insieme al docente segue un processo in cui sono imputate delle ex guardie delle SS tra cui scopre, stupito e incredulo, Hanna.

Durante il processo, viene a scoprire che la donna aveva l'abitudine, durante il suo lavoro come guardia, di costringere i prigionieri a leggere per lei. La donna ebrea sopravvissuta ai campi di concentramento e che offre la tremenda testimonianza ricorda come Hanna sembrasse quella più umana, che proteggesse i più deboli, salvo poi condannarli inesorabilmente a morte nelle camere a gas.

Il processo si focalizza su un episodio particolare: durante i bombardamenti le guardie, tra cui Hanna, rinchiudono i prigionieri in una chiesa; l’edificio viene colpito e divampa un incendio che uccide tutti, tutti eccetto la testimone.

Hanna è l’unica a raccontare e le altre imputate fanno fronte comune, accusandola di essere stata la responsabile della decisione di non aprire le porte e che il verbale redatto in giustificazione come rapporto ai superiori è stato scritto da lei. Hanna dapprima nega, ma poi, posta di fronte alla prova calligrafica, confessa di aver scritto il documento di suo pugno. Grazie a questa confessione le altre imputate vengono condannate a quattro anni di carcere per concorso in omicidio, mentre Hanna, l’unica condannata per omicidio, viene costretta all’ergastolo.

Michael realizza, in base ai suoi ricordi, che Hanna non sa né leggere né scrivere e che quindi non può essere stata lei ad aver scritto quel documento, e capisce anche che si addossa quella colpa solo per la vergogna di non saper leggere.

Gli anni passano e Michael si sposa e ha una figlia, ma il matrimonio non dura e, a causa del suo atteggiamento distante, anche il rapporto con la figlia è difficile.

Negli anni Michael non racconta a nessuno della sua storia d’amore, ma conoscendo la sorte di Hanna, decide di inviarle periodicamente delle registrazioni nelle quali legge ad alta voce gli stessi romanzi che le leggeva durante la loro relazione. La donna, ormai anziana, si procura i libri dei romanzi che riceve da Michael e impara in questo modo a leggere e a scrivere.

Dal carcere lei prova a scrivergli delle semplici lettere a cui però lui non risponde. A ridosso della fine della detenzione, Michael viene contattato dal carcere in quanto unico contatto con la donna.

Lui le fa visita e le promette un lavoro e un piccolo dignitoso appartamentino non lontano dalla biblioteca, ma il suo atteggiamento è freddo, distaccato, inquisitorio.

Durante il dialogo, lei ammette che prima del processo non aveva mai pensato al passato. Quando lui le chiede “Cosa provi? Cosa hai imparato?” ottiene una risposta secca: “Che importa cosa provo? I morti sono morti. Cosa ho imparato, ragazzo? Ho imparato a leggere”.

Non dettaglio qui le scene seguenti che conducono alla fine del film, ma questa risposta di Hanna trova un parallelo in una frase, rivolta a Michael, della figlia della donna che aveva testimoniato al processo: “Spesso mi chiedono cosa ho imparato nei campi. Nulla. Non erano un università, un luogo dove si impara. Nei campi non c’era niente. La catarsi vada a cercarla nella letteratura, non nei campi.”

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