sabato 13 novembre 2010

Il club degli imperatori

Scrivo questo intervento, a mezza notte passata, d'impulso.

Ho appena visto il film "Il club degli imperatori" (con Kevin Kline, anno 2003, tratto da un racconto di Ethan Canin), e ha toccato una corda profonda, una corda tesa anche dagli ultimi eventi di cronaca, di gossip politico, di cultura dominante.


Spesso mi sono ritrovato a provare un senso di sconfitta profondo, un senso di sconfitta personale certo, ma anche più generale. Di fronte alla tracotanza del vincente, bugiardo, truffaldino, strafottente, ignorante, di fronte ad un opportunismo ottuso ed utilitaristico, di fronte ai "perché no", allo smantellamento di ogni valore di cultura, di onestà, e più in generale di virtù.

La vita del giusto, la vita nel giusto, è vista come fine a se stessa, inutile, perdente.

Questo senso di sconfitta diventa frustrazione quando non riesco a trovare le parole per spiegare le ragioni, a volte mi ritrovo persino a balbettare.


È come vivere in un altro mondo e non possedere le parole adatte per comunicare.

La saggezza dei filosofi, il sublime senso di poesia di certi versi o storie, l'eredità che grandi civiltà ci hanno tramandato, impallidisce, sbiadisce, scompare, appare privo di senso.

Tutto ciò intorno a cui ho formato la mia sensibilità, il mio animo, il mio carattere è un non-sense di fronte alla spavalderia di chi ha ottenuto il successo ignorando tutto questo, contraddicendolo e calpestandolo.

Mi ritrovo a parlare con una persona più giovane di me che mi dice che la furbizia paga, che i modelli del successo dicono questo, che ci governa, chi è arrivato in alto non ostenta altro che questo. (E allora mi ricordo una battuta di "Napoli milionaria": "arruobbe tu e allora arrobbo pure io!")

Dei principi e delle virtù non frega un cazzo a nessuno. Non hanno tornaconto, cosa fanno ottenere? E allora resto con smozzichi di parole incespicanti tra la lingua e le labbra.

E nella migliore delle ipotesi, mi sento un fesso.

Un silenzioso senso di indignazione mi sale dallo stomaco e brucia, brucia fino alla gola.



E ho davanti l'immagine di quella ragazza di ritorno da palazzo Grazioli con tanti di quei soldi in mano, che forse impiego un anno a guadagnare. Mi fanno impressione. Una delle cose che mi chiedo (e ancora mi torna in mente un'altra volta "Napoli milionaria") è se a lei e a chi glieli ha dati quei soldi "fanno sbattere il cuore come lo farebbero sbattere a me".


Ma poi li guardo e ammutolisco, perché sono il simbolo sbattuto in faccia di quel senso di sconfitta di cui parlavo.


Allora guardo questo film e mi viene da piangere.


Mia moglie mi chiede se sia gioia, tristezza o commozione. Non lo so. Forse è rivalsa. Forse tengo ragione io. Forse è un vaffanculo che non trova la via per uscire. Forse è la speranza.


Forse i parametri per misurare il successo di un uomo sono altri. Forse hanno persino a che vedere con i principi della cultura classica.


In fin dei conti quando un uomo deve fare i conti con se stesso si ritrova col mio paradigma tra le mani.


Il film ve lo guardate, ve lo dovete guardare, non ve lo racconto.


Ma una cosa, una citazione, ve la lascio come esca.



"Le grandi ambizioni e le conquiste, senza nessun apporto costruttivo, sono prive di significato.
E voi? Quale sarà il vostro apporto? In che modo la storia vi ricorderà?"
"Il carattere di un uomo è il suo destino" (Eraclito)
"Non sibi: non per se stessi. La saggezza […] dovrebbe essere usata per gli altri, oltre che per se stessi".


2 commenti:

Alex ha detto...

Mah, credo sia una questione di scelte, non di principi. Non ha grande senso affidarsi ad ideologie astratte: si sceglie il personale (e ragionevole) obiettivo, si imbracciano le armi e si parte per la guerra. Dopodichè, è un fifty-fifty di fortuna e talento.
Buona battaglia.

Anonimo ha detto...

Grande film.