sabato 18 giugno 2011

Quello che il bruco chiama fine del mondo…



Quello che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.
Lao Tzu    
                           
Il pensiero della morte arriva all’attenzione di ognuno prima o poi, e molti si trovano a soffermarsi su di esso che lo vogliano o meno, anche senza un particolare motivo. 

Poi arriva sempre il momento ineluttabile in cui ci si trova a confrontarsi con questo pensiero, per la morte di qualcuno che ci è caro o solo vicino, oppure per via di una malattia o condizione che ci riguarda di persona.

Il dubbio che assale chiunque circa il pensiero della morte è se essa sia la fine della vita, o una profonda trasformazione.

Molti dei più saggi hanno osservato la natura e in essa hanno colto il processo della trasformazione continua, del divenire perpetuo della vita dove la fine di un ciclo è un passaggio necessario affinché un altro ciclo possa avviarsi.

Probabilmente Dio, la Natura, lo Spirito Universale, o qualunque altra “cosa”, qualunque nome le vogliate dare, ci ha posto di fronte ad un’infinita varietà di metafore del nostro destino, della nostra natura partecipativa dell’Universo e ci ha dato la possibilità di cogliere, di intuirne il senso.

Forse, una semplice conoscenza “a priori”, divina se vogliamo, non sarebbe stata sufficiente a spiegare la bellezza e la complessità di una verità più grande, né il suo spirito profondo, e forse avrebbe potuto inaridire il nostro animo umano.

Forse è necessario questo linguaggio più complesso che costringe ad una partecipazione emotiva, che ci costringe a interrogarci e , a volte mi dico, ad essere migliori.

Sto cercando di dire che credo che sia come per la poesia, la musica, la pittura o ogni altra forma d’arte o di comunicazione umana. Le parole chiare, semplici, il messaggio diretto, possono non arrivare oltre la pelle dell’altro lì dove invece il non detto, la metafora, l’emozione delle sonorità, il gioco cromatico, sembra arrivare a mettere in contatto due anime.

In passato ho pensato alla morte come a un sadico piacere di un dio incomprensibile. 

Oggi, pur restando tremenda, mi appare necessaria per dare un senso, non alla vita, ma al vivere, al compiersi di questo atto. Mi pare necessaria come l’arte, come la parola, la musica, il tempo e lo spazio.

Abbiamo questa vita, e senza pensare a inutili inferni o paradisi, premi, ricompense o punizioni, mi pare che non ci sia altro da fare che viverla, viverla al meglio, tendere a migliorare se stessi, seguire le passioni, gli amori, dare voci alla gamma delle nostre doti interiori, così uniche e diversificate nella loro gamma da rendere ciascuno irripetibile e potenzialmente prezioso.

Mi pare non ci sia altro da fare che dare il senso al tempo che trascorre e, che sappiamo, finirà.
E così costruiamo un lascito che ci andrà oltre, e non sarà fatto di cose, ma di incontri, di parole, di azioni, di conoscenze, di emozioni seminate nella terra fertile degli uomini.

Da qualche parte ho letto che un insegnante non può mai dire dove arriverà il frutto del suo insegnamento.
Credo che valga per ogni uomo, perché in ogni istante ciascuno di noi insegna con i propri comportamenti e atteggiamenti e mentre insegna, impara.

Sono convinto che ad ogni passo ciascuno di noi semina, che lo voglia o no, per il semplice fatto di attraversare la vita, anche solo se fosse fatta di un istante.

(In due parole, non possiamo fare a meno di condividere, di essere parte dello scambio: chissà che non possiate chiamare Dio questa fitta e inestricabile rete o, se volete, questo movimento.)

E se poi la nostra trasformazione avvenga tramite questo lascito, questo insegnamento, questa eredità o in altro modo non è dato saperlo.

Se la morte annichilisca ciò che chiamiamo coscienza mentre restituisce il corpo alla natura del tutto, non è dato saperlo.

Se nella farfalla resti la coscienza del bruco, nessuno lo sa. 

La certezza è che l’esistenza della farfalla sia la conseguenza di quella del bruco e che in verità dipenda da ogni singolo istante vissuto dal bruco.

Ancora una volta, l’unica certezza è la nostra trasformazione nel mondo e del mondo, tramite ciò che impariamo e insegniamo.

Che crediamo in un dio o meno, siamo gli unici che possiamo  dare o sottrarre un senso alla nostra vita e al mondo che attraversiamo. Siamo gli unici che possono modellare la vita come un progetto o addirittura un capolavoro o scegliere di non dare ad essa alcuna forma e di subirla.

Non possiamo scegliere il mondo in cui viviamo, ma possiamo scegliere cosa fare della nostra vita in questo mondo.

1 commento:

Alex ha detto...
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