domenica 1 agosto 2010

che dio ci perdoni se stiamo pregando col libro in una mano la bomba nell'altra



Quando il campo va sminato, il nemico ha già fatto la sua mossa.

Resti di fronte a niente, lo sguardo lontano e le gambe bloccate con i piedi fissi nel terreno. Tutto deve essere immobile prima di cominciare.

Il nemico non c'è, neppure osserva. Questa cosa non assomiglia neppure ad una partita a scacchi, non assomiglia a niente.

Il lavoro – la bonifica – è senza movimento: nessun inseguimento, nessun agguato. Nessun attacco o difesa.

È fredda geometria, quasi perfetta, intaccata dalla variabile del sentire umano.
In questa sfida, fatta di ingegno e concentrazione, si gioca la vita e la paura è una carta scoperta.

In queste condizioni uno sbaglio è più che una possibilità: è una probabilità.

 
In seguito alle notizie riguardanti i due soldati italiani morti in Afghanistan non ho potuto trattenere l'immaginazione. Ho provato a immedesimarmi e a capire cosa un uomo possa sentire un attimo prima di compiere un lavoro come quello della bonifica di una zona minata. 

È così che è nata l'immagine, riportata in apertura, di un uomo di fronte al suo destino. Non so effettivamente quanto sia verosimile o valida, ma ci trovo qualcosa di bello, di affascinante.

Ma come stride questo con la banalità della guerra e di questa inutile guerra in particolare. 

E così mi torna in mente il divario fra vita e letteratura, tra vita e rappresentazione.

La rappresentazione mediatica, poi, rappresenta un discorso a parte.

Colgo i fatti di questi giorni per esprimere il mio dissenso, per ora condividendo un video abilmente costruito sulla famosa canzone dei Negrita. 
 

che dio ci perdoni se stiamo pregando col libro in una mano la bomba nell'altra
 

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